Published on Febbraio 27th, 2014 | by Antonio Tortolano

Megamusic intervista The Monkey Weather

Lo scorso 14 febbraio è uscito The Hodja’s Hook, il secondo album dei The Monkey Weather, band di Domodossola, che mescola punk ‘n roll e chitarrismi post wave di ispirazione britannica. Parliamo di Jolly Hooker (chitarra e voce), Paul Deckard (basso e voce) e Mike The Rooster (batteria). I The Monkey Weather tornano dunque con un nuovo lavoro che segue al gran successo di pubblico e critica di Apple Meaning, disco d’esordio che ha consentito alla band piemontese di farsi notare da formazioni dalla caratura internazionale come  Kasabian, Vaccines e Skunk Anansie. I The Monkey Weather hanno avuto l’opportunità di aprire i concerti di queste band e di partecipare anche al Sziget Festival di Budapest. Ecco l’intervista che il gruppo di Domodossola ha rilasciato a Megamusic.

The Hodja’s Hook è il vostro secondo lavoro. Dopo il successo di critica dell’album d’esordio, quale riscontro vi aspettate?

Ci aspettiamo di confermare quanto di buono ci è stato attribuito e di far cambiare idea a chi ha storto un po’ il naso muovendo qualche obiezione stilistica o di esecuzione. In sostanza ci aspettiamo di confermare ciò che di buono è stato fatto e possibilmente migliorarlo.

Come nasce Hodja’s Hook e in cosa si differenzia, secondo voi, rispetto al debutto di due anni fa?!

Apple Meaning è l’album dell’istinto. Questo è più “ragionato”. A livello compositivo abbiamo buttato uno sguardo sul sociale, abbiamo preso in considerazione emozioni che entrano nella sfera un po’ più dark come l’odio, la non sopportazione verso un certo tipo di politica, la disillusione. Ma c’è sempre spazio per l’amore, la passione, il sesso. Sono piccole istantanee di quello che vediamo, raccontate con un pizzico di cinicità e ironia. I pezzi diventano più veloci, un po’ più cattivi se vogliamo. In più grazie alla collaborazione avuta con Olly Riva abbiamo definito meglio lo stile, il suono, abbiamo dato un impronta di colore definito all’album, mantendendo quelle che sono, secondo noi, le nostre caratteristiche vincenti: armonia vocale, due prime voci, grande ritmica, pochi fronzoli, definendo il tutto, limando il più possibile le imperfezioni.

Apple Meaning vi ha fatto notare a band come Kasabian, Skunk Anansie e Vaccines, aprendo i loro concerti. Qual è il momento più entusiasmante che avete vissuto?

Il momento che mi fa venire i brividi ancora adesso è quell’istante in cui da dietro il palco ti senti dire che tocca a noi, che dobbiamo uscire. C’è un secondo in cui senti l’urlo della folla che sale, che ti assorda, che ti sposta tutti gli organi interni e che ti porta in una dimensione completamente surreale. È un’emozione fortissima, difficile da spiegare. Quello è l’istante più entusiasmante”(Jolly).

“La cosa più emozionante per me è vedere le persone sconosciute in prima file cantare i nostri ritornelli, voglio dire siete lì per un altro artista e siamo riusciti lo stesso a prendervi e farvi divertire, allora tutto ha un senso, quello mi ha emozionato tantissimo”(PAul).

Poi di aneddoti ce ne sono un sacco: da Tom Meighan che è già con un piede sulla scaletta per salire sul palco e invece torna indietro per venire a farti i complimenti e scambiare due parole prima di iniziare il concerto; o bere una birretta con lui nel backstage di Roma; oppure la sera in Puglia in cui abbiamo mangiato un panino insieme a Mark Richardson per poi parlare per una buona mezz’ora con Skin e Cass di stupidate. In quei momenti rimani stupito di come persone che consideri dei miti siano comunque alla mano e disponibilissime. E te le fa amare ancora di più.

Della scena indie italiana, c’è una band che apprezzate particolarmente?

Possiamo vantare amicizie e collaborazioni con band come Pagliaccio, Gambardellas, The Red Carpet, e i nostri conterranei The Midnight Kings. Poi ci piace molto Paletti, ci siamo ispirati molto ai dischi dei Records.  Potremmo citare tantissimi nomi di band validissime con le quali abbiamo condiviso serate o festival. Ci piace molto ascoltare quello che ci circonda, trarne ispirazione, ammirare i trucchi di chi condivide il palco con noi, quando siamo liberi scoprire curiosi i gruppi che suonano nei live club vicini.

Oasis e Beatles. Quale delle due band ha influenzato maggiormente il vostro percorso?

Il viaggio a Londra e Liverpool sulle tracce dei Beatles ci ha senza dubbio dato la svolta. Ci ha formato come gruppo, ci ha aperto la testa su cosa volevamo fare con la musica. Ogni album dei Beatles per noi è un manuale infinito da cui attingere conoscenza. Personalmente gli Oasis sono il gruppo che avevo nelle orecchie nel walkman 10 anni fa; è il mio esempio live, perché è quello che ho vissuto. Era il sogno da grande, i pezzi che imparavo con la chitarra. Non sono mai riuscito a vederli live perché quando mi son deciso a prendere i bilgietti si son sciolti la sera prima di suonare a Milano. Lo prendo come un segno del destino. In compenso vedere Paul Mc Cartney è stata l’esperienza più mistica della mia vita. (Jolly).

“Sono d’accordissimo con Jolly per quanto riguarda i Beatles, per me sono la mamma di tutta la musica leggera moderna, gli Oasis invece sono gli eroi in cui ti immedesimi da piccolo quandi guardi i loro video su MTV e sogni di essere come loro. L’unplugged in cui canta Noel me lo ricorderò per sempre, lo guardai in devozione totale insieme a mia madre sdraiati sul divano, quindi scegliere chi sia stato più influente è davvero difficile, ho tutti i dischi di entrambi”(PAul)

Crisi dell’industria discografica. Cosa ne pensate? Meglio major o etichette indipendenti?

È semplicemente figlia della crisi della cultura. L’Italia ha il maggior patrimonio artistico del mondo e destina soltanto l’1,1% della spesa pubblica in cultura. Siamo ultimi in Europa. Lasciando un attimo da parte la musica definibile come moderna, citando il teatro dell’opera, patrimonio culturale italiano, notiamo che si rappresentano più opere a Tallin, in Estonia, rispetto alla Scala di Milano. Come si fa anche solo a prendere in considerazione l’industria discografica in un paese dove cultura, talento, preparazione, vengono sempre messi dietro a inconsapevolezza e faccia tosta. I talent sono l’unica forma di investimento sicuro per le major oltre ai soliti noti. Una serie di cloni, anno dopo anno che propongono la stessa identica cosa. Si abbassa sempre di più il senso critico, si decide quello che è bello nei 30 secondi in cui passi da un click all’altro.

Le etichette indipendenti fanno quello che possono con quello che hanno.
Si è perso il valore del disco come oggetto. Almeno in parte. Per fortuna c’è una fetta di persone che sta cercando di recuperare. Si pensi al fatto che il Vinile negli ultimi anni ha avuto un incremento del 300% di vendite. Ma nell’era della velocità, del “tuttoconunclick”, non c’è più l’emozione di avere il cd della tua band preferita. Se va bene te lo scarichi a pagamento. Ma è un male diffuso anche tra chi suona. Molta gente si lamenta della crisi del mondo della musica quando l’ultimo cd che ha preso era ancora in lire, l’ultima volta che è stata in un museo era con la gita di 3° superiore e l’ultimo concerto l’ha visto su Youtube. Andare ai concerti, soprattutto a quelli del pub vicino a casa, è l’unico modo per rilanciare il mondo della musica.

Dopo la pubblicazione del 14 febbraio, cosa prevede la vostra tabella di marcia nel 2014?

Abbiamo una serie di date promozionali in giro per l’Italia che ci terranno impegnati fino a fine aprile. Uscirà a breve il video del nostro primo singolo. Interviste, promozioni per radio. Poi speriamo che salti fuori qualcosa di fico per l’estate.

Quasi tutti dicono che i brani sono come dei figli ed è impossibile scegliere il preferito. Ma uno, nei due album, al quale siete davvero maggiormente legati c’è?

“Penso che i pezzi a cui sei più legato sono quelli che hai scritto con dentro il maggior carico emotivo. Personalmente il pezzo a cui sono più legato emotivamente in Apple Meaning è Hands over me. Poi sicuramente quello che è rimasto è Sara wants to Dance. In Hodja’s Hook sono contentissimo di Sometimes sia come esecuzione, composizione, carico emotivo che si porta dietro.”(Jolly)

“Per me People watch me è stato il primo pezzo scritto da me che mi ha soddisfatto, quindi per questo ci sono molto legoato, in questo album invece è Lies quello che appassiona di più, è un pezzo di denuncia sociale con una speranza sul futuro, quello che spero di dare con la musica dei Monkey”(PAul) Speriamo che arrivi la stessa cosa a chi ascolta.

Cosa manca alla musica italiana, secondo voi, per fare il grande salto di qualità? Una cosa che non avrà mai?

Discorso complicato al quale non si può rispondere senza peccare di presunzione. Peccando possiamo dire che mancano i tempi giusti. Come detto prima la formula del talent diventa l’unica forma di investimento serio. E non porta a nessuna evoluzione, anzi porta all’involuzione. Si resta fermi sul neomelodico. Alcuni gruppi si credono rock perché hanno le chitarre elettriche.
Avevamo una splendida scuola cantautorale che sta finendo dispersa. Ora c’è mancanza di dedizione, c’è tanta filosofia spiccia, tanto “persentitodire”, tanto “tutto subito”. C’è passione per esser famoso, non per la musica. Abbiamo citato un verso dei Talkin Heads in una nostra canzone che dice “never for money, always for love”. È questo che manca alla musica italiana. Il fare le cose per passione non per esser famoso. Poi magari lo diventi anche e va bene. Ma è come amare una donna per interesse. La ami perché la ami e basta.
Se si riscopre questa cosa, di persone talentuose e di qualità ne abbiamo a mazzi. Possiamo dire la nostra ovunque. Non vogliamo pensare che ci sia una cosa che non potremmo mai avere.

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Nato a Cassino, ai piedi della celebre abbazia, sono cresciuto con la passione per lo sport e per il giornalismo. Roma prima e Milano poi mi hanno accolto per farmi compiere il salto di qualità. Lavorare in tv e per la carta stampata non mi bastava più e allora dal pallino per la rete ecco nascere lospaccatv, megamusic e lamiaradio, tre magazine online di cui vado fiero...



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