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Published on Maggio 1st, 2015 | by Antonio Tortolano

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Kurt Cobain: Montage of Heck. Le nostre recensioni

Per soli due giorni al cinema è stato possible vedere Kurt Cobain: Montage of Heck, il documentario sulla vita del grande artista di Aberdeen scomparso 21 anni fa. Vi proponiamo le recensioni di Valentina Capogna e Antonella Cori.

Di Valentina Capogna

Kurt Donald Cobain è nato ad Aberdeen, a detta di sua madre Wendy Elizabeth Fradenburg,il posto giusto per crescere i propri figli. Sono gli anni del boom economico, a cavallo tra i ’60 e i ’70, la gente si sposava per mettere su famiglia e tutti avevano, non troppi soldi ma quelli necessari per pagare spesa e bollette. Equilibrio, insomma. È questo il primo “quadro” di Cobain. Montage of Heck, l’ultima strabiliante fatica diBrett Morgen che, più che scienziato del documentario, sarebbe giusto definire alchimista e, quindi, questo lavoro sulla vita di Cobain una sorta di pietra filosofale. Nei cinema, in Italia, questa incursione dirompente ha già avuto fine, evento durato due giorni (28-29 aprile), solo due giorni di eterno presente, però, come si conviene alla “storia”.

Ci sono voluti otto anni per montare i centotrentadue minuti che raccontano Kurt Cobain, otto anni di ricerche, studio, scrittura, contatti e genialità per intessere una tela già scritta ma difficile da rendere perché alle “visioni” di Cobain si aggiungono quelle di Morgen, in grado di tracciare un perimetro secco eppure trasversale: il documentario, cioè, si fa emozione, la fiction è sì messa da parte, ma ne sfrutta lo schema narrativo per fare del racconto di cronaca e ricostruzione, una storia densa e appassionante.

Il materiale a disposizione certamente aiuta, è una bomba a orologeria: fotografie e filmati di famiglia inediti, istantanee private, stralci di quaderni, disegni, appunti sugli arrangiamenti, tutto il mondo di Kurt, in definitiva, messo a disposizione da Courtney Love e Francis Bean Cobain, la loro amata figlia che ha prodotto il film insieme alla HboDocumentaryFilms.
Kurt è un bel bambino, biondo, solare, gentile con tutti, attaccatissimo a sua mamma. Poi, una débâcle: iperattivo, ma nella norma, intimamente vessato da un padre che pare non lo stimasse granché, e terrorizzato anche solo dall’ipotesi della disistima, dell’umiliazione. Poi il divorzio, la famiglia distrutta, e Kurt che si fa sempre più “vandalo”, che scopre la marijuana per calmare le ansie, che passa di casa in casa, e non solo quella dei suoi genitori, ma anche di nonni, zii, parenti vari, per poi alla fine essere mandato via. Quanto costa non essere voluto? Evidentemente tanto, nel bene e nel male, se poi si diventa Kurt Cobain.

Un’anima fragile forse, inadatta a quel clamore che avrebbe portato, altre al successo, la possibilità di esporsi a tutti i venti possibili, compresi quelli che tagliano il viso, e che lo avrebbero piegato in due. Pur avendo fame di vita e colori, si ritrovava ad esserne disgustato, chiudendosi in un mondo in bianco e nero, perimetrato dalle pareti del suo stomaco sempre addolorato, e dalla calma apparente di una dose di eroina.
Col successo tutto questo non avrebbe trovato certamente requie, anzi, si sarebbe amplificato, lasciandolo forse senza protezione. Perfetta, in questo senso, una frase di sua madre che, appena sente l’odore della fama, gli dice: “Mettiti le cinture perché non sei pronto a tutto questo”.

È una biografia inedita, perché scandita da un caleidoscopio di immagini vorticose, dirompenti, ricostruzioni animatedi Stefan Nadelman e HiskoHulsin su cui sono stati sapientemente sovrappostifile audio di strimpellate tra amici, interviste in radio locali, registrazioni casalinghe, musicassette incise nel privato dell’ispirazione; pezzi mai sentiti prima, come quel Montage of Heck che dà il titolo al film: chitarra, malessere. Arte. Voce strozzata, sofferta e graffiata che non è solo simbolo di una generazione, ma travalica i confini e diventa immagine. È lì che sta la magia, anche se nera, quando tutti i sensi convergono e diventano parte di un tutto.

Un Kurt intimo, ancora di più quando è immortalato in una casa disordinata ma piena d’amore, un amore tossico, certo, ma che pare scoppiare nei filmati intimi della vita che nasce, cresce, di Francis che, appena nata, fa il bagno con Courtney e l’aeroplanino col papà. Una Francis dagli occhi azzurri e spalancati, che non ha potuto conoscere suo padre.

A parlare di Kurt sono sua madre, suo padre, la matrigna, una ex fidanzata che ha negli occhi ancora tanto amore per lui; unica assenza ingiustificata è quella di DaveGrohl, batterista dei Nirvana e ora frontman dei Foo Fighters, chissà perché. Ma, tra le testimonianze, a colpire maggiormente è un KristNovoselic (bassista dei Nirvana) come sospeso nella landa desolata della “rimembranza”, che racconta il suo Kurt con un tono appassionato ma discreto, cominciandoogni frase con un silenzio immobile, pesante come la pietra, carico di colpe, dispiacere, nostalgia, forse anche rabbia, per non aver impedito l’inevitabile.

Un colpo di fucile. E, dopo pochi anni di successo universale, Kurt Cobain si appresta a diventare un mito. Artigiano della musica, che ha ridisegnato l’hard rock con i declivi del proprio esistenzialismo e il punk con la forza di un’armonia disperata.

Kurt Cobain, madre del grunge. Non padre, perché non ha instillato il seme, ma ha partorito, letteralmente, qualcosa di vivo e pulsante, con tutta la gioia e il dolore che quest’atto d’amore comporta.

Di Antonella Cori

E’ difficile ormai per me pensare a Kurt Cobain prima di aver visto questo documentario inedito Kurt Cobain: Montage of Heck, intimo e durissimo.

Mentre scorrono le immagini, si vive in una costante sensazione di stordimento. Un’impressionante accumulo di informazioni recuperate dentro la vita dell’ultimo dei Punk, ci fa rimanere come ipnotizzati, calati completamente nella parte di spettatori mentre scorre la vita di Kurt, che sembra non avere mai tempi morti.

Documenti, foto, video inediti, l’impressione che si ha è che Brett Morgan, il regista del documentario, abbia consumato un’intera vita dietro questo lavoro, invece ci ha messo solo otto anni. C’è tanto di quel materiale che a volte, tra tutte queste immagini che scorrono, ci si perde, l’unica sensazione che rimane costante è un senso di profonda solitudine e una vita breve ma intensa, passata a lottare contro di essa.

Non si può vedere Kurt Cobain: Montage of Heck senza riappropriarsi di stati d’animo a tutti familiari, che sono appartenuti anche a chi quel momento l’ha vissuto ma anche a chi è venuto dopo, perché la musica dei Nirvana esprime un malessere che racchiude in se la potenza di una musica che taglia, attraversa un preciso momento delle nostre vite, Kurt l’ha vissuto tutto quel momento, solo che invece di attenuarsi attraverso la perdita dell’adolescenza, sembrava non avergli dato mai tregua, la morte lo ha fatto.

Questo tracciato di ricordi, fatto dallo stesso Kurt, è impressionante, insomma io non ho mai conosciuto un’artista così da vicino, così intimamente, sembrava di stargli accanto in alcuni momenti. I suoi dipinti, le continue frasi che scorrono gigantesche sullo schermo, entrano dentro di noi. La musica distorta da vecchi video amatoriali, rende il suo modo di cantare ancora più tormentato e viscerale. I video girati a casa da lui e Courthney Love nel loro modo di stare assieme, folle e facilmente giudicabile, ci fa invece l’effetto opposto, si dimentica la morale e si diventa semplicemente spettatori dello scorrere di una vita che blocca le parole in gola.

Le immagini dell’infanzia e dell’adolescenza ad Aberdeen sono tutte inedite, senza di esse non avremmo mai potuto capire come mai Kurt Cobain fosse quello che era, senza quell’infanzia non avremmo mai avuto I Nirvana, una lotta tra la fragilità e la potenza espressa attraverso la musica.
Il documentario, prodotto dalla stessa figlia di Kurt, che vediamo neonata ed infante nell’ultima parte del racconto e alla quale vengono associate in parallelo le immagini che ritraggono un piccolissimo Cobain, ci segnano un cerchio che viene a chiudersi e che tanto ci racconta della vita rock n’ roll di questo personaggio controverso ed affascinante, che appartiene ad un’epoca che conosciamo da sempre, che non è mai finita.

Quello che resta dentro dopo aver visto questo racconto di vita, è un senso di eccitazione, stordimento, rabbia, nostalgia, paura, tenerezza, e voglia di non dimenticare mai Kurt, il suo mondo e la sua musica.

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About the Author

Nato a Cassino, ai piedi della celebre abbazia, sono cresciuto con la passione per lo sport e per il giornalismo. Roma prima e Milano poi mi hanno accolto per farmi compiere il salto di qualità. Lavorare in tv e per la carta stampata non mi bastava più e allora dal pallino per la rete ecco nascere lospaccatv, megamusic e lamiaradio, tre magazine online di cui vado fiero...



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