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Published on Giugno 9th, 2013 | by Il Graffio

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Iron Maiden: sessanta anni e non sentirli

Gli Iron Maiden non hanno deluso le aspettative dei fan italiani. Metti un popolo fedele come quello dei metallari, un gruppo che ha fatto la storia dell’heavy metal, uno show-amarcord che rispolvera gli anni d’oro di un lungo e glorioso passato e un’estate praticamente priva di grandi festival rock: il risultato sono i 40 mila spettatori che fanno praticamente sold-out sulla desolata e (fortunatamente non troppo assolata) distesa d’asfalto della Fiera Milano Live di Rho per assistere al Sonisphere Festival e alla sua portata più succulenta: due ore di concerto degli Iron Maiden, una vera pietra miliare del rock duro.

Nonostante non siano più dei ragazzini (ormai vanno tutti per i sessanta), il sestetto capitanato dal cantante Bruce Dickinson, jeans e tight neri per l’inizio della serata, e dal bassista Steve Harris, fondatore e da oltre trent’anni anima del gruppo, maschera la carta d’identità con disinvoltura, sfoderando grinta e sudore almeno pari a quelli dei fan accalcati nelle prime file per tutto il pomeriggio, durante il quale sono stati investiti dalla valanga di decibel emessi dalle altre sei band del Sonisphere, tra cui i pesanti Mastodon e i Megadeth, vecchia glorie del trash.


Accompagnati da una scenografia pirotecnica e dalle frequenti apparizioni in versione sempre più tecnologica di Eddie, la orrorifica mascotte che li accompagna fin dagli esordi, gli Iron Maiden offrono in pasto ai fan i capolavori che hanno segnato i i primi quindici anni della loro carriera. Se qualche sacrificio è inevitabile (per accontentare i fan bisognerebbe suonare fino a notte fonda) ma opinabile (dimenticato Killers, il loro folgorante secondo album) per il resto la scaletta ripercorre tutti i loro ascendenti anni ’80, quelli che li hanno incoronati re della New wave of british heavy metal prima e del metallo mondiale dopo. Dalla demionaca The number of the beast (accompagnata da molteplici scariche di fuochi infernali) a The trooper (con il mattatore Dickinson che sventola la bandiera della Union Jack), da Run to the hills a Wasted years, gli Iron Maiden propongono quel loro inimitabile mix di cavalcate aggressive, slanci epici, cambi di tempo, linee melodiche rese inconfondibili dalla voce ancora potente, a dispetto di qualche ruga, di Dickinson.

L’ospite d’onore, suonato quasi per intero, è Seventh son of a seventh son, l’album che il Maiden England World Tour intende celebrare nel 25/o anniversario della sua pubblicazione. Mentre Harris e i tre chitarristi Dave Murray, Janick Gers e soprattutto Adrian Smith percorrono miglia sul palco come il maratoneta di The long distance runner, i 35 mila della Fiera, cinquantenni nostalgici e ventenni che non erano ancora nati quando già l’effigie degli Iron Maiden popolava le magliette dei metallari di mezzo mondo, cantano a memoria con Dickinson praticamente l’intera scaletta. Apoteosi, con l’immancabile Eddie, scenografia di tutto lo show, per Iron Maiden, ruvido e tagliente capolavoro del primo album. Poi i bis e tutti a casa con Running free, inno alla libertà e alla ribellione giovanile che continua a ronzare nelle orecchie.

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About the Author

Sono nato a Genova. Chi legge lospaccatv.it mi conosce bene, ma analizzare il mondo della televisione è solo una delle mie passioni. La musica scorre nelle mie vene già da quando band come Dire Straits e Cure dominavano le scene. Cinema e teatro sono gli altri miei vecchi amori. Chi non segue megamusic non ama la musica…



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